Incanto, un progetto made in Prato per far rendere la cultura: ideato da una pratese pensando alla nostra città ma sarà realizzato a Milano

La cultura può essere anche un business a patto di applicare regole e indicatori specifici che tengano conto non solo del bilancio finanziario tout court ma anche della componente più intangibile ed etica legata al fare e al consumare prodotti culturali. In questo modo è possibile arrivare a creare una struttura di stampo commerciale ma interamente consacrata alla cultura: una sorta di “centro culturale” modellato sullo schema degli outlet della moda o dei grossi centri commerciali generalisti.
Detta così potrebbe sembrare quasi un’eresia, soprattutto in tempi come i nostri, dove i governi locali e nazionali sono abituati a considerare la cultura solo come un costo e quindi da mettere in cima alla lista ogni volta che si renda necessario usare l’accetta dei tagli per far fronte a momenti di crisi. E invece c’è chi si è messa a fare due conti e ha dimostrato, con tanto di piano di fattibilità o businnes plan che dir si voglia, che questa utopia è possibile. Non solo, che può anche essere un fattore di sviluppo economico.
Chi lo ha fatto è Irene Sanesi, giovane commercialista pratese, che sull’argomento ha anche scritto un libro con Stefano Guidantoni: “Creatività Cultura. Creazione di valore” (editore Franco Angeli). Saggio che è stato presentato allo Iulm di Milano con l’economista Oscar Giannino come padrino d’eccezione (nel video i momenti salienti della presentazione). Il progetto illustrato nel libro si chiama Incanto, acronimo che sta per Innovative Center of Arts in Tuscany. Ma la lingua inglese non deve trarre in inganno, il progetto è infatti interamente pratese come di Prato è la sua ideatrice. Non solo: “Mentre lo elaboravo – spiega Irene Sanesi – io pensavo proprio alla mia città e a una zona precisa: l’area dell’ex Banci. Con la sua metratura, con la sua posizione strategica vicino alle vie di comunicazione principale e, soprattutto, con la presenza del Centro Pecci, mi sembrava la location ideale per la realizzazione di Incanto, che sarebbe diventato una maxi area businnes del museo. Nel mio progetto vedo coesistere gallerie d’arte, atelier di stilisti, negozi di design ma anche residenze temporanee di giovani artisti e poi gli uffici e gli studi di professionisti specializzati in beni culturali, di agenzie grafiche e di comunicazione, aziende di logistica nel settore culturale, banca e assicurazione. Insomma un melting pot in grado non solo di dare una straordinaria offerta di arte da consumare ma anche di diventare un luogo di produzione di eccellenza, favorendo le contaminazioni tra diversi soggetti che si trovano a lavorare sotto lo stesso tetto”.
Insomma, una soluzione alternativa all’area Expo o al nulla a cui al momento sembra condannata l’area ex Banci. Che , però, non si farà più a Prato. “Purtroppo – dice Irene Sanesi – ci siamo scontrati con uno dei difetti della nostra Toscana: l’essere troppo lenta nel prendere decisioni che riguardano il futuro. C’è una forte impasse culturale e politica da noi, che rende difficile progettare e guardare avanti. Così il nostro obiettivo si è ora spostato su Milano, verso l’Expo 2015 ed è in questa ottica che stiamo lavorando”. Una grossa occasione persa per Prato, dunque. Anche perché, a ben vedere, l’opzione di Incanto non è mai stata presa in considerazione, né quando l’ex Banci sembrava destinato al polo fieristico né adesso che questa prospettiva è naufragata. Di sicuro non sarebbe stato un azzardo. “Il nostro piano di fattibilità – spiega Irene Sanesi – è molto dettagliato e nel libro viene illustrato nei particolari. Si basa su un sistema di affitto degli spazi e di royalties sulle vendite. I modelli all’estero ci sono già: lo Spinnerei di Lipsia realizzato in un ex cotonificio su un’area di 30mila metri quadri. Oppure il Factory798 di Pechino o anche il Quarter 21 di Vienna”.
Alla base di tutto c’è la possibilità di attrarre un pubblico di “cultural victim”, facendo scattare meccanismi analoghi a quelli della moda. Con una differenza, come spiega Irene Sanesi: “La cultura – dice – è la base della nostra vita e della nostra società. Non mi piace quando sento parlare di tagliare i rami secchi: togliere i finanziamenti alla cultura è come far seccare le radici. E’ anche vero, però, che serve un cambio di passo da parte degli istituti e degli operatori culturali. Non si può pretendere che un museo o un teatro facciano utili di per sé, ma questo non vuol nemmeno dire che si può spendere e spandere convinti che tanto prima o poi qualcuno coprirà i buchi. Ecco, c’è bisogno di programmazione e di controllo, fermo restando che il valore culturale non si misura solo con l’efficienza ma anche con l’efficacia e quindi un biglietto regalato può valere quanto uno pagato. Proprio per questo è necessario trovare degli indicatori ad hoc in grado di valutare appieno quale è il valore di un istituto culturale, integrando i dati quantitativi”.

Claudio Vannacci

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